La storia di Madison
Dixie Lawrence è la madre di una bambina di sette anni con sindrome di Down. L'ha adottata poco dopo la nascita. Come tante altre madri si è ribellata all'idea del "non c'è nulla da fare". Vive negli Stati Uniti, è determinata, in grado di navigare su Internet, comincia a studiare e... scopre la cura per il ritardo mentale: una miscela di vitamine, alcuni amminoacidi (tra cui il triptofano), un po' di enzimi e uno stimolante (piracetam, non approvato dalla Food and Drug Administration, ma comunque non illegale e reperibile negli Stati Uniti). Dixie ha un'ottima capacità organizzativa, crede in quello che fa, apre un sito Internet, coinvolge altri genitori e diffonde il suo credo. Oggi sua figlia Madison appare sorridente, probabilmente va a scuola e fa quello che fanno tutti gli altri bambini della sua età.
La storia di Caterina
Anna Razzano è la madre di una signorina di 21 anni con la sindrome di Down. Era nata con un grave difetto cardiaco. Come tante altre madri 21 anni fa si era ribellata all'idea del "non c'è nulla da fare". Vive in Italia, è determinata, in grado di comunicare con altri genitori, ma anche con medici, assistenti sociali, psicologi, pedagogisti. Fonda, insieme ad altri, un'associazione e ... non scopre la cura per il ritardo mentale, ma capisce quali sono i diritti di sua figlia e li realizza. Caterina è stata curata con successo per la sua cardiopatia, è andata a scuola, ha fatto tutto quello che fanno i bambini e gli adolescenti, è stata educata come tutti gli altri bambini. Ora lavora, usa i mezzi pubblici, ha un fidanzato, si vuole sposare e andare a vivere con lui.
Due storie, stessi risultati?
Due storie, apparentemente stessi risultati. Identici? O uno migliore dell'altro? Madison ha fatto "la cura" inventata dalla madre, Caterina no.
Solo una valutazione approfondita, uno studio molto ben fatto, potrebbe darci la risposta.
Bisognerebbe avere ad esempio 100 bambini e dare a tutti uno sciroppo, identico nell'aspetto ma... diverso nel suo contenuto. A 50 di essi dovremmo dare lo sciroppo con la sola aggiunta di menta e agli altri 50 aggiungere menta e la miscela di vitamine (e gli altri ingredienti).
Adesso ci vuole un minimo di concentrazione per seguire il discorso. La decisione di dare le vitamine a 50 bambini si e a 50 no dovrà essere affidata al caso. Il motivo è estremamente semplice. Non potendo studiare 100 bambini esattamente identici tra loro in tutto e per tutto, facendo decidere al caso chi deve prendere le vitamine e chi no (ad esempio gettando una moneta in aria) saremo abbastanza sicuri che i due gruppi di 50 bambini, nel loro insieme e mediamente, saranno simili tra loro. Provare per credere. Tutta la ricerca seria, e tutte le nuove cure vengono studiate con questo metodo. Che i medici chiamano sperimentazione clinica controllata e randomizzata (dall'inglese "random"=casuale).
Non è finita: nessuno, né i genitori, né i medici che seguono i bambini dovrebbero conoscere il contenuto dello sciroppo. Immagina la situazione. Sapere che stai prendendo una medicina ti fa stare già meglio. E qualcosa di analogo succede quando stai valutando lo sviluppo di un bambino con un problema come quello della sindrome di Down. Il solo "credere fermamente" che migliorerà ti fa essere più ottimista, e questo da fiducia al bambino, e proprio questo lo aiuta a svilupparsi meglio. Si chiama effetto Hawthorne. Ben noto nella ricerca medica e sociologica.
Continuiamo a immaginare la nostra ricerca ideale. Alla fine ci vorrà uno psicologo, anch'egli all'oscuro del contenuto dello sciroppo, per valutare mese dopo mese, anno dopo anno lo sviluppo e le capacità di questi 100 bambini. Le sue valutazioni alla fine verranno messe in rapporto allo sciroppo A e allo sciroppo B (ancora nessuno sa che cosa ci sia dentro!).
Ottenuti i risultati il ricercatore principale potrà svelare il segreto. E vedere se A conteneva le vitamine oppure era un semplice sciroppo alla menta.
È necessario fare questa ricerca?
Ma è proprio necessario fare una ricerca del genere? Perché non vediamo se è già stato fatto qualcosa di simile nel passato, e se possiamo trarne qualche informazione?
Utilizziamo una serie di banche dati mediche (la più nota è la Medline, ma ce ne sono diverse) e affidiamoci ad uno specialista in revisione sistematica dei lavori già pubblicati.
Si scopre che le ricerche su questo argomento sono abbastanza numerose. La valutazione dell'efficacia delle vitamine, o di altre sostanze, ipotizzate come utili per "curare" o comunque aiutare lo sviluppo dei bambini con la sindrome di Down, è iniziata almeno 30 anni fa. I risultati? Positivi: le vitamine apparentemente funzionano, talvolta, guarda caso quando i ricercatori avevano utilizzato le sostanze in un solo gruppo di soggetti, senza controlli, e senza altra regola seria per svolgere la ricerca. Negativi: le vitamine di fatto non producono alcun effetto apprezzabile, tutte le volte che la ricerca è stata condotta in modo serio e corretto. Non si tratta di risultati discordanti, si tratta di risultati concordanti in funzione del metodo, corretto o no.
Non solo, ma almeno una ricerca (seria), indica che la somministrazione di triptofano è associata ad una maggiore frequenza di spasmi infantili, una forma di epilessia.
Ci dobbiamo fidare?
Ci dobbiamo fidare delle ricerche serie? Possiamo affidare il nostro destino e quello dei nostri figli a queste ricerche? Senza dubbio, e senza mezzi termini, si. Oggigiorno è il modo più sicuro per capire se un farmaco, o un qualunque altro intervento medico, sia davvero efficace oppure no.
Altra domanda. Dobbiamo usare solo gli interventi efficaci? Le vitamine, per esempio, male non fanno, perché non utilizzarle? Qui il discorso si fa un pò più difficile. Perché richiede un rigore che può essere frainteso, ma la risposta è di nuovo una sola: si, dobbiamo usare solo e soltanto gli interventi che sono efficaci. Agli altri dobbiamo accostarci con estrema cautela. Il motivo è molto semplice.
Se un intervento è efficace nella bilancia tra vantaggi e svantaggi, l'eventuale piccolo rischio che devo pagare è accettabile nei confronti del vantaggio sicuro che avrò. Se invece, al contrario, un qualche intervento non è efficace avrò sempre uno sbilanciamento. A fronte di un vantaggio nullo, gli svantaggi noti, ma soprattutto quelli ignoti o poco percepibili, sono superiori, anche se minimi. Un prezzo insomma che non vale la pena pagare. Un concetto semplice, mi pare. Che ognuno di noi mette in pratica ogni giorno. Oppure c'è qualcuno disposto a comprare in borsa delle azioni che possono scendere ma sicuramente non rendono nulla?
Ma allora perché tanti cadono nella trappola, e corrono solo il rischio degli svantaggi?
I motivi sono molti. Il primo è semplice: ignoranza. Molti non sanno che l'argomento vitamine (e sostanze simili) è stato già affrontato. Molti non conoscono i neonati, i bambini e le persone con la sindrome di Down.
L'altro motivo è la speranza. "Si ho capito perfettamente, non è vero ma io ci credo. Lasciatemi sperare". Fu questo il commento di una madre alla fine di un congresso organizzato circa 10 anni fa da uno dei tanti visionari, nostrano e senza internet, che "dimostrava" l'efficacia delle vitamine per "curare" le persone con la sindrome di Down. E' il grido di dolore conseguente all'affermazione, errata, magari sentita una sola volta ma rimasta come un tarlo nel cervello, del "non c'è nulla da fare".
L'ultimo dei motivi (per alcuni) è il fascino sottile, segreto, inconscio della fiducia nelle terapie alternative. Affermare che la scienza ufficiale non capisce, non sa trovare le soluzioni (specialmente se ti ha chiuso in faccia tutte le porte) può ridare fiducia a chi è stata tolta. Immaginare che una madre volitiva scopra la cura per il proprio figlio, è vero, è proprio affascinante. Il guaio è che anche lei, come tutti gli altri, deve dimostrare i suoi successi.
In conclusione...
La ricerca è importante, è essenziale per migliorare le nostre conoscenze, ma attenzione, bisogna farla secondo criteri rigorosi. E chi non la fa, deve saper almeno leggere le ricerche degli altri.
Informare è importante, ma attenzione, ogni informazione va vagliata secondo criteri rigorosi. Internet, o la televisione, non sono affidabili in quanto tali, vanno sottoposte a critica, a verifica, soprattutto Internet.
E... le vitamine?
Il problema rientra nei problemi della pediatria e della nutrizione. I bambini con sindrome di Down, o tutti gli altri, per quel che se ne sa fino ad oggi, non sembra che abbiano necessità maggiori degli altri. Non sembra...? dunque...? Dunque ... se ci sono ipotesi ragionevoli e robuste per sospettare che sia necessario un apporto maggiore di vitamine, di amminoacidi, di triptofano (no questo proprio no, ha dei rischi dimostrati!), di piracetam, vediamole queste basi, analizziamole e si programmi una ricerca seria. Sarò ben felice di collaborarvi. Ho sete di sapere "vero".
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- La vitamina B1 interviene nel metabolismo degli zuccheri e nella respirazione delle cellule.
- La vitamina B12 o cianocobalamina
- La cianocobalamina, conosciuta come vitamina B12, è presente in tutti gli alimenti di origine animale in minime quantità.
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- Il manganese è un oligoelemento indispensabile nell'attivazione di numerosi enzimi ed coinvolto nel metabolismo.
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- Lo iodio
- Lo iodio si trova negli alimenti di origine animale e vegetale. Buone fonti sono il pesce l’aglio, i fagioli, le zucchine bianche, le bietole e le cime di rapa.