Gli occhi di un bambino sono sensibili alla luce quando ancora si trova all’interno del grembo materno. Lo dimostra il fatto che al settimo mese di gravidanza, se si proietta uno stimolo luminoso intenso (ad esempio con una torcia) sull’addome della mamma durante un’ecografia, si può osservare che il feto reagisce alla luce socchiudendo le palpebre.
Appena nato la retina (quella parte dell’occhio che ha la funzione di catturare le immagini e di trasmetterle, attraverso il nervo ottico, al cervello) è già in grado di funzionare permettendo al neonato di cogliere il contrasto tra zone chiare e zone d’ombra (ad esempio le sopracciglia ed i capelli della mamma).
Il piccolo non è ancora capace di controllare i movimenti degli occhi e non riesce a mettere a fuoco le cose che vede: non è in grado, in altre parole, di aumentare o diminuire la curvatura del cristallino, quella piccola lente situata all'interno dell'occhio, che è responsabile dell'accomodazione, cioè del processo di messa a fuoco delle immagini.
È solamente dopo le due settimane di vita che il piccolo inizia in parte a coordinare i muscoli oculari riuscendo a mettere a fuoco oggetti situati a 20-25 centimetri dai suoi occhi, alla distanza cioè a cui si trova il volto della mamma quando viene allattato: è come se lo sguardo del neonato si focalizzasse su quello che è veramente importante per lui, vale a dire la fonte principale del nutrimento e dell’affetto. Tutto ciò che è posto ad una distanza maggiore appare sfuocato e il bambino vede solo forme imprecise, in diverse tonalità di grigio perché non è ancora in grado di distinguere i colori.
Il bebè distingue molto bene la luce dal buio e reagisce ad uno stimolo luminoso improvviso chiudendo le palpebre. Dopo il mese di vita il piccolo diventa capace di soffermare il suo sguardo su un oggetto preciso, ad esempio le piccole api o i pupazzetti delle giostrine musicali che si appendono sopra la culla.
Il bebè inoltre è in grado, per pochi attimi, di seguire il lento spostamento, in orizzontale o in verticale, di un oggetto (ad esempio un giocattolo di un colore intenso, come il rosso) posto a 20-25 centimetri dagli occhi. Spesso il bambino appare strabico, non è in grado, in altre parole, di mantenere diritti gli occhi, che possono incrociarsi o divergere verso l’esterno in modo più o meno marcato.
Il piccolo è capace di cogliere solamente i contorni di un viso (non tanto la bocca, il naso o gli occhi) e sorride a qualsiasi stimolo che abbia la forma di un volto: la faccia di una persona ma anche una semplice maschera.
Verso i 2-3 mesi di vita il bebè inizia ad osservare con più attenzione l’ambiente che lo circonda, aiutato in questo da una migliore mobilità del capo: è capace perciò di seguire con lo sguardo i movimenti della mamma quando si sposta da una parte all’altra di una stanza.
Riconosce bene il volto della madre ed inizia ad affinare il fenomeno della convergenza, quello per cui, a mano a mano che un oggetto si fa sempre più vicino, gli occhi ruotano verso l'interno. Inizia a scoprire i colori ed è affascinato soprattutto dalle tinte forti e dai contrasti di luce intensa.
Verso i quattro mesi di età è probabilmente capace di distinguere il rosso, il verde e il blu; l'avverbio probabilmente è d'obbligo poiché esiste ancora una forte incertezza sulla possibilità di percepire, a questa età, i colori, essendo gli studi sulla materia basati su dati elettrofisiologici, e quindi non troppo affidabili.
Solamente all'età di tre anni è possibile diagnosticare con sicurezza un'anomalia congenita della visione dei colori, come ad esempio il daltonismo. A cinque mesi la vista del bebè riesce ad arrivare fino ad alcuni metri intorno a sé, anche se vi è ancora un po’ di difficoltà a mettere a fuoco oggetti in movimento. La attenzione del bimbo è richiamata anche dagli oggetti piccoli e vi è una discreta coordinazione tra occhi e mani.
A sei mesi compiuti i movimenti degli occhi sono ben coordinati ed in genere non è più riscontrabile lo strabismo. Tra i 7 ed i 9 mesi il bambino ha un’acutezza visiva (cioè la capacità di discriminare le immagini in dettaglio) all’incirca di 5 decimi, che corrisponde a metà dei valori definitivi: in altre parole il piccolo può essere paragonato ad una persona miope che non porta gli occhiali.
È perciò nomale che il bebè preferisca esaminare le cose da vicino: il bambino è capace di afferrare gli oggetti, anche molto piccoli, con grande abilità e non se li fa più sfuggire di mano nel momento in cui li sta prendendo, come invece capitava prima.
All’età di 10-12 mesi viene raggiunta la visione tridimensionale: il piccolo acquisisce il senso della profondità e se vede un oggetto davanti a sé cerca di afferrarlo. Fino allora il bebè è stato in grado di vedere solo immagini piatte ma ora tutto appare in “rilievo”, con gli oggetti che finalmente hanno acquistato volume e profondità.
Con le mani può manipolare gli oggetti a suo piacimento rendendosi subito conto che un quadrato è diverso da un cerchio, che una palla è rotonda e che un cubo ha degli spigoli. È in grado di riconoscere un familiare anche a una decina di metri di distanza e la sua acutezza visiva raggiunge all’incirca i 6 decimi all’anno di età. Sa distinguere tutti i colori.
Con il passare del tempo migliora nettamente la coordinazione dei centri cerebrali che controllano i movimenti degli occhi e si affinano i processi della convergenza e dell’accomodazione, anche se la visione perfetta compare solo verso i cinque anni di vita.
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