Da quando è tornata dall'ospedale, ricoverata per una bronchiolite, mia figlia è cambiata: è insofferente, non vuole (quasi) più giocare, urla come una pazza anche solo per cambiarle il pannolino, si sveglia di notte urlando e non vuole riaddormentarsi, non sorride quasi più, neanche a me (papà) quando ritorno a casa dopo il lavoro. È possibile che sia rimasta traumatizzata (visto che le hanno fatto anche un prelievo di sangue) dall'esperienza ospedaliera? Io e mia moglie siamo molto giù perché non sappiamo come comportarci. Potreste darci qualche consiglio?

Gentile papà, quando un bambino vive una condizione di malattia, seppur per un breve periodo, vive nel contempo paure ed angosce che permangono molto spesso anche quando l'evento di patologia può considerarsi superato. Un bambino che vive l'esperienza di una ospedalizzazione vive il trauma del cambiamento, ma anche e soprattutto si rapporta con l'aspetto della terapia farmacologica. C'è inoltre qualcosa d'altro che non è da trascurare: riguarda il vissuto percettivo di una corporeità malata.

Questo probabilmente è ciò che ha provato e sta vivendo tuttora la Vostra bambina. Non ho altri elementi che mi possano fornire qualche dato in più, per esempio l'età di sua figlia. Posso intuire essere molto piccola, visto che è ancora in età di pannolone; posso dedurre che nel suo atteggiamento vi sia rancore e rabbia per un vissuto che è sentito come una punizione non meritata e pertanto non solo strilla "come una pazza", ma si sveglia anche di notte molto spaventata ed arrabbiata. E poi non sorride, perché il mondo affettivo che prima era accogliente, forse anche accomodante, ora è in parte sfumato e se ne chiede il perché. Il prelievo di sangue è stato probabilmente sentito come modalità di un castigo che non comprende.

Forse andava spiegato prima. E sicuramente non esiste solo il linguaggio verbale per raccontare ad un bambino un'esperienza che lui percepisce in modo negativo, ma esiste anche il linguaggio affettivo, fatto di coccole e che può accompagnare tutte le possibili spiegazioni, anche quelle meno accettabili e che può confermare, dopo l'esperienza vissuta, quanto ciò che è avvenuto sia stato compiuto perché era indispensabile.

Sua moglie può tentare di riallacciare quel rapporto simbiotico che permetta con molto tatto un contatto corporeo che, seppur all'inizio, sua figlia può rifiutare ma che sicuramente dopo ricambierà e permetterà di sciogliere il suo dolore, e ancora prima di comunicare alcune sue paure. Forse sua moglie si troverà ad essere anche il bersaglio dell'aggressività della vostra bambina, ma anche questo costituisce un atto necessario per un processo di elaborazione di un malessere che deve essere espresso.

L'aggressività, così come può essere trasformata, va anche contenuta se essa si scatena in modo eccessivo e la vostra bambina deve essere in grado di percepire che i genitori sono perfettamente in grado di controllare questa sua manifestazione. Lei come padre sarà sicuramente in grado di esserci in questi momenti, seppur in modo discreto, ma non meno importante: faccia giocare sua figlia.

Il gioco permette di proiettare e poi scaricare e trasmutare in modo creativo il suo disagio. Può costituire il tramite tra la parte arrabbiata e quella che desidera il consenso e che permette di ritrovare una dimensione di tranquillità e che la può gratificare. Così pure un linguaggio semplice, seppur la sua bambina sia molto piccola, se esso accompagna il gesto affettivo tattile verrà introiettato come un racconto importante e prezioso. E poi c'è il potere dello sguardo: da come si sentirà guardata si sentirà amata, protetta, rassicurata.

Questo è sicuramente un momento transitorio che passerà, così come la vostra bambina tornerà presto a sorridere; lasciatele un po' di tempo soltanto per elaborare questa esperienza. Se ciò dovesse perdurare però per qualche mese ancora, potreste consultare anche il pediatria che vi indirizzerà correttamente, così pure potrete tranquillamente riscrivermi, se lo riterrete opportuno.

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