Mia figlia ha quattro anni e mezzo e frequenta il secondo anno di scuola materna (dopo due anni di nido). Non finisce mai di fare un gioco (se lo ritiene troppo difficile) oppure si stanca dopo cinque minuti che gioca con lo stesso giocattolo. È giusto insistere per farglielo finire o convincerla a continuare quello che sta facendo? Il mio timore è che eventuali insicurezze o difficoltà a concentrarsi su una sola cosa possano poi creare difficoltà quando andrà a scuola e dovrà fare i compiti.

Caro genitore, più volte abbiamo detto che il gioco rappresenta, per ogni età, uno strumento "di lavoro" importante e, se ben fatto nell'infanzia, diviene uno spazio di relax per l'individuo per tutta la vita. Ogni bambino attraverso il giocare sperimenta, scopre, impara e lo fa a modo suo, personale e soggettivo. La sua bimba nel fare alcuni giochi (lei però non me ne indica nessuno relativo alle esperienze della sua piccola) tende sicuramente ad impiegare tempi più lunghi e per ciò mi riferisco a quei giochi dove l'attenzione, la concentrazione e la memoria vengono maggiormente impegnati: pensi alle costruzioni, ai puzzles, alla campitura di un disegno.

Esistono invece altri giochi, come un'attività motoria all'aperto, dove il piccolo smette subito se il gioco non gli piace o dopo un tempo personale, legato in genere alla stanchezza psico-fisica: per ogni modalità ludica perciò c'è un tempo. Molto spesso il fatto di non completare un'attività, in genere del tipo che richiede maggiore tempo di concentrazione e realizzazione, dipende, sembra paradossale!, dai tempi di esecuzione che l'adulto di riferimento dà al bimbo: il tempo a questa età, invece, deve essere tassativamente quello soggettivo dei piccoli.

Non escludo che modelli imitativi avuti a tutt'oggi dalla bimba siano stati di questo tipo. Altra motivazione che può facilmente indurre un bambino a "mollare" di fronte ad un problema ludico può essere la troppa presenza dell'adulto, che alla prima difficoltà del bimbo agisce per lui: non dimentichiamo mai che per aiutare i nostri bambini a crescere è, tra l'altro, molto importante e educativo creare situazioni/gioco in cui impari a cavarsela da solo o quasi, perché "solo se prova disagio tenderà a modificare il proprio comportamento".

La sua preoccupazione relativa ad insicurezze e difficoltà che possono emergere è in parte lecita, ma non necessariamente legata agli apprendimenti scolastici degli anni successivi (intendo alla scuola elementare e al fare i compiti), quanto piuttosto al fatto che il gioco può perdere il suo connotato significativo di affettività e relazionalità, perché diventa tempo cronologico dell'adulto.

Il gioco individuale, come un puzzle, una lettura di immagini, un momento di gioco simbolico (il far finta di…), se da un lato non deve caratterizzarsi dal determinare, con la frequenza e i tempi sempre più lunghi, la tendenza della/del bambina/o all'isolamento (portando come conseguenza l'evitamento del gioco con gli altri e dei momenti di ricreazione in compagnia), dall'altro può essere supportato in questo caso, senza rendere la cosa troppo ansiosa, dal giocare in alcuni momenti e con gradualità insieme: inserirsi nel gioco, anche solo ponendosi accanto e giocando da soli con un altro giocattolo, significa scoprire che, dopo qualche "tentativo" il/la piccolo/a comincerà a giocare con l'altro da sé.

Consideri che spesso il giocare da soli, oltre che qualificarsi come un'esigenza di crescita, di autonomia e di creazione di "uno spazio proprio", lancia anche messaggi di richiesta di avvicinamento: il piccolo chiede cioè di essere notato e lo fa con modalità proprie, indirette.

Per contro il fatto invece che, dopo pochi minuti, la sua bimba o in generale un bambino lasci un gioco può derivare da diversi fattori: il tempo impiegato per quel gioco è per il piccolo sufficiente e rappresenta un pregiudizio dell'adulto il fatto che ci giochi per poco; gli stimoli di apprendimento negli ambienti educativi (la casa per prima) oggi sono molteplici e caratterizzati da complessità varie: pertanto un giocattolo può essere vissuto dal bambino come poco stimolante (specie se già lo conosce); la noia è un'emozione che i piccoli devono imparare a vivere e riconoscere e spesso proprio alcuni giochi rappresentano per questo un mediatore importante.

Attraverso il gioco inoltre i bambini dai tre ai sei anni costruiscono traguardi formativi essenziali che si esprimono nella realizzazione dell'autonomia e dell'autostima personale e sociale, oltre che nello sviluppo delle conoscenze e delle competenze.

È importante a riguardo che gli adulti di riferimento agiscano sulla crescita della fiducia in sé stesso del bambino proprio attraverso le modalità ludiche: rafforzare l'autostima quando porta a termine un semplice lavoro, giocare con lui mostrando una/due volte la risoluzione di un problema, motivarlo a ripetere per apprendere, lasciarlo dal solo di fronte a semplici difficoltà rappresentano elementi importanti perché il gioco divenga metodologia di apprendimento, di divertimento, di creatività e di relazione.

Altro su: "Si stanca dopo cinque minuti che gioca con lo stesso giocattolo"

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