L'allattamento è un argomento di grande attualità. Ma ci siamo mai soffermati a pensare come affrontavano l’allattamento al seno le donne dei secoli passati? E quali erano i problemi a cui esse andava incontro o quali erano i comportamenti adottati dalle società antiche? Vero è che la donna ha percorso un cammino difficile, pieno di ostacoli e di malattie; la sua maggiore preoccupazione era di non poter proseguire l’allattamento al seno, precludendo, così, al suo bambino la sola fonte conosciuta di cibo: il latte materno. Costantemente la donna si appellava alle divinità che presiedevano l’allattamento e proteggevano la madre e il suo bambino, affinché i piccoli inconvenienti e i grandi problemi potessero trovare una risoluzione.
In tutte le civiltà antiche l’allattamento al seno materno veniva praticato, tranne in casi di estrema gravità, come la malattia o la morte della madre, o nella eventualità ci si trovasse in presenza di gemelli.
Lungo il nostro percorso storico il primo nome che dobbiamo ricordare è quello di Sorano di Efeso (98 – 138 d.C.), che visse a Roma nella prima metà del II secolo dell’era cristiana. Egli, come un moderno puericultore, si interessò di tutti gli aspetti dell’allevamento del lattante e dei bambini, fornendo consigli pratici di igiene e di assistenza al neonato, con particolare attenzione all’allattamento materno. E proprio su questo punto che è incentrata l’importanza del Nostro Maestro, perché le sue teorie influenzeranno profondamente i comportamenti sociali delle popolazioni dei secoli a venire: la sua prima convinzione era che il neonato per i primi 2 giorni di vita dovesse essere alimentato soltanto con miele bollito e che bisognasse aspettarne altri 20, prima di attaccarlo al seno, nutrendolo nel frattempo con latte di altra donna (egli era convinto che il latte dei primi giorni fosse indigesto ed inadatto ai bisogni del lattante); il secondo principio era che, nella impossibilità di iniziare o continuare l’allattamento, si dovesse fare ricorso ad una balia, ma scelta, seguendo precisi e rigidi canoni, fisici e morali.
Questi comportamenti rimarranno invariati per secoli. Il tempo passava e si andò sempre più diffondendo l’usanza dell’allattamento mercenario (balia), soprattutto come sinonimo di prestigio e convenzione sociale. E proprio in questo cotesto che molte voci autorevoli si alzarono per sostenere, difendere ed elogiare l’allattamento. Addirittura Plutarco affermò che la Natura aveva posto il seno della femmina umana in una posizione alta perché ella potesse abbracciare ed affezionarsi al figlio mentre lo allattava. Infatti fin dalla notte dei tempi si aveva intuito l’insostituibilità e la perfezione del latte materno: ma ora ci si convinceva soprattutto dell’esistenza nel latte materno di quel valore aggiunto che rendeva speciale il legame madre – figlio.
Ma un altro aspetto segnò ed influenzò profondamente i comportamenti sociali e le abitudini sessuali dall’antichità fino al Rinascimento: si riteneva che l’allattamento fosse incompatibile con i rapporti sessuali (a causa della teoria dell’emogenesi del latte), perché il rapporto sessuale, e la eventuale conseguente gravidanza, interferiva con la distribuzione del sangue nel corpo della donna, determinando problemi alla qualità e alla quantità del latte e provocando persino la morte del feto…: questa proibizione divenne un vero problema. A questo punto della storia, è importante ricordare un’altra figura di medico, vissuto nel XIII secolo in Francia: Aldobrandino da Siena. Egli definì precisamente le rigide regole per la scelta accurata della balia, perché era convinto che, attraverso il latte, si trasmettessero al bambino non solo le malattie, che potevano essere mortali, ma anche le predisposizioni psichiche della persona che allattava: quindi… attenzione alla balia!
Ma sorge spontanea una domanda: perché, ben conoscendo la insostituibilità e la perfezione del latte, e pur elogiando e sostenendo l’allattamento al seno, gli autori si soffermarono così attentamente sul baliatico?
Le donne passavano la loro vita fertile tra una gravidanza e l’altra e questa continua condizione impediva la prosecuzione dell’allattamento, a causa della proibizione secolare di allattare mentre si stava aspettando un bambino. Inoltre gli uomini non accettavano di buon grado di doversi allontanare dal letto coniugale, per il divieto di avere rapporti sessuali durante la fase allattante.
La storia dell’allattamento al seno materno si intreccia, quindi, inevitabilmente e sciaguratamente con quella del baliatico: dal 1300 in poi, con l’aumentato ricorso alla balia, la condizione dei bambini si fa sempre più precaria e drammatica. Bambini allontanati dalle braccia della madre e mandati in campagna dopo disagevoli e lunghi viaggi, sottoposti a condizioni igieniche drammatiche, allevati con incuria, nutriti con una pessima qualità del latte, costretti alle sofferenze della denutrizione, delle sperimentazioni alimentari e delle malattie, soprattutto quelle intestinali. A ciò si aggiungevano i vizi delle balie, il loro continuo variare (per le gravidanze o le malattie intercorrenti), la loro povertà e la non rara evenienza di morte per soffocamento nei letti affollati dagli adulti. Il privilegio di ricorrere alla balia fu dapprima riservato ai ceti aristocratici, ma poi si estese a quelli medi, che si stavano sviluppando in attività lavorative, nelle quali c’era sempre più bisogno della presenza femminile. I bambini delle famiglie povere, invece, erano abbandonati nei brefotrofi, negli ospedali o addirittura uccisi. I medici e gli uomini di lettere non si stancavano mai di elogiare il latte materno, perché erano convinti che fosse uno strumento per forgiare il bambino e per rendere ancora più solido il legame affettivo tra madre e figlio. La medicina cominciava ad interrogarsi sulle modalità dell’allattamento, sulla durata della poppata, sulla quantità del latte assunto dal lattante, anche se la gestione del problema era delegato all’esperienza e alle pratiche quotidiane della gente comune, che seguiva insegnamenti e consuetudini interpretate e tramandate da generazioni.
Si pensava soprattutto alla salute del bambino, ma chi pensava a quella della donna?
Si incominciò a considerare la nutrice, colei che nutre, come una donna bisognosa di assistenza e protezione, per i numerosi problemi che doveva superare, i disturbi fisici collegati alle ripetute gravidanze, al parto, alla debilitazione conseguente e alle patologie legate alla mammella: tutto ciò poteva portare alla malattia della madre e alla inevitabile cessazione dell’allattamento. I medici si occuparono tutti di allattamento, tentando di dare regole precise, come numero delle poppata, quantità di latte per poppata, insistendo sulla sua importanza e necessità: ma non sappiamo quale impatto ed influenza ebbero le esortazioni mediche sul costume e i comportamenti delle donne.
Un personaggio chiave per la diffusione e la divulgazione di queste teorie mediche fu un personaggio estraneo alla medicina, il filosofo svizzero Jean – Jacques Rousseau (1712 – 78), che dalle pagine della sua opera "Emilio" (pubblicata nel 1762) biasimò duramente le donne che affidavano i propri figli alle balie, privandoli del latte materno. Il clima di quegli anni era concorde con il tipo di mentalità: nei ceti aristocratici, in special modo, si ebbe un ritorno all’allattamento al seno, con la conseguente riduzione della mortalità infantile. In controtendenza, invece, i ceti medio – bassi cominciarono a rivolgersi alla balia; i primi perché questo era un segno di distinzione sociale, gli altri perché la necessità di lavorare, spesso in posti particolarmente insalubri e in lavori gravosi, non consentiva la presenza di bambini. Si ricorreva, allora, all’uso della balia, anche perché rappresentava l’unica possibilità di riposo per donne (tra una gravidanza e l’altra, magari dovendo lavorare senza sosta), senza pensare che, viceversa, ne aumentava la fertilità: infatti l’allattamento al seno garantiva un periodo di amenorrea (mancanza di ciclo mestruale). Nonostante le rigide regole e i controlli per la scelta della balia, la mortalità infantile era drammaticamente alta. Le nutrici erano accusate anche di soppressione dei piccoli loro affidati per consentire l’allattamento dei propri, continuando a percepire il salario. Un’altra ipotesi era quella che la balia scambiasse il bambino che allattava con il proprio, assicurando così a quest’ultimo un futuro migliore. Lo scambio di bambini aveva ispirato la letteratura ed il teatro di quei secoli.
Quando mancava il latte materno o di altra donna, fin dall’antichità si ricorreva al latte animale, addirittura ponendo il lattante direttamente sotto le mammelle della mucca o di altra femmina animale a disposizione. Quando il fenomeno degli abbandoni nei brefotrofi divenne di così grandi proporzioni, che le balie assoldate dagli ospedali non erano più sufficienti a soddisfare la richiesta, si tornò ad utilizzare questo tipo di alimentazione artificiale. Ma i risultati furono talmente disastrosi, da essere paragonati ad una vera ecatombe.
Quindi la medicina iniziò delle ricerche scientifiche per scoprire la natura del latte materno e le differenze tra i vari tipi di latte animale: lo scopo era di creare un latte, simile a quello materno, per renderlo adatto ai bisogni del bambino. La spinta per queste ricerche fu data dalla necessità di combattere l’altissima mortalità infantile. In verità, c’erano molti altri problemi da superare: le cattive condizioni igieniche nelle quali vivevano le mucche, le rudimentali modalità con cui si prelevava, si conservava e si manipolava il latte, il lungo tempo che intercorreva tra la raccolta, il trasporto e la vendita del latte alle famiglie, la mancanza di refrigerazione, la ulteriore contaminazione con acqua o altri liquidi aggiunti. A peggiorare le dimensioni del problema contribuivano le forme strane e complicate dei poppatoi (realizzate in vari materiali come peltro o ceramica e solo nel 1800 per fortuna anche in vetro), che non permettevano una perfetta pulizia, e le rudimentali tettarelle, formate da pezzi di tela uniti a spugne che diventavano terreno fertile per la proliferazione di germi (solo nel 1845 venne brevettata la tettarella in gomma indiana). Proprio per l’elaborazione delle sue forme, un tipo di poppatoio in vetro chiamato "Siphonia", era conosciuto come "bottiglia della morte".
Una svolta storica avvenne con il metodo della sterilizzazione da parte di Luis Pasteur (1822 – 1895) nel 1864, adottato per il latte nel 1886 con il nome di pastorizzazione. Il metodo per la sterilizzazione del latte faticò ad essere accettato fino all’inizio del Novecento. Nel 1908 Chicago fu la prima città al mondo ad adottare la pastorizzazione. Nella seconda metà dell’Ottocento si cominciò a parlare di latti conservati, di farine lattee, di latti condensati e formule simili. Un grande clamore accompagnò il lancio sul mercato a pochi anni di distanza uno dall’altro, di due prodotti per l’infanzia: la "zuppa di malto", del chimico tedesco Justus von Liebig nel 1865 e la "farina lattea" dell’industriale svizzero Henri Nestlé nel 1867. Queste due formule ebbero il merito di aprire la strada alla lunga ricerca di alimenti dietetici per l’infanzia.
Ma in questo secolo avvenne, soprattutto, un cambiamento nel costume della donna, che cercava di riappropriarsi del suo ruolo materno (ritorno all’allattamento al seno, alla cura dei bambini e alla loro educazione), negatole a lungo dalle convenzioni sociali, dalle condizioni drammatiche di sopravvivenza e dai tabù sessuali. Nel Novecento la donna incominciava faticosamente a fare il suo ingresso nel mondo del lavoro, pagando, però, un altissimo prezzo, sia dal punto di vista dalle salute che da quello degli affetti familiari. La nuova situazione, che si andava creando con la presenza femminile nell’ambito lavorativo, comportò una rivoluzione dello stile di vita della famiglia, formando una diversa consapevolezza del ruolo e dei diritti della donna. Proprio l’inserimento nelle fabbriche e negli uffici fu uno dei fattori più importanti, che hanno portato al declino dell’allattamento al seno, "unitamente alla rapida urbanizzazione, all’industrializzazione, all’idea che i nuovi alimenti infantili potessero sostituire il latte materno e la conseguente incapacità di allattare, dovuta al progresso evolutivo della società". L’allattamento materno, considerato da secoli l’attività più naturale per la donna, che fornisce l’alimento più adatto ed idoneo alla salute del bambino, veniva trascurato, non solo dalle istituzioni mediche, ma anche dalle donne stesse. Paradossalmente, con il raggiungimento del benessere generale, l’allattamento al seno continuava a perdere punti percentuali ogni anno.
Gli anni ’60 e ’70 videro in prima linea problemi che riguardavano più propriamente l’emancipazione della donna e la sua liberazione da antichi obblighi e doveri; gli anni ’80 portarono una iniziale inversione di tendenza, anche se l’attenzione era incentrata sui problemi del parto. Con gli anni ’90, invece, si può parlare di una volontà di promozione dell’allattamento al seno, attraverso la individuazione di fattori ulteriori che hanno determinato la sua riduzione: "la carenza di promozione da parte delle istituzioni ospedaliere e la mancanza di preparazione del personale infermieristico, la presenza di regole rigide ospedaliere che separano nettamente madre e figlio e la pubblicità per propagandare l’allattamento artificiale".
La svolta avviene con la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, approvata il 20 novembre 1989 a New York (lo Stato Italiano l’ha trasformata in legge nel 1991) nella quale si pone l’accento sull’informazione "sui vantaggi dell’allattamento al seno", per poi sfociare nella "Dichiarazione degli Innocenti. Sulla protezione, promozione e sostegno dell’allattamento al seno" (OMS – UNICEF), approvata, sempre a New York, al Summit mondiale per i bambini nel settembre del 1990. In quest’ottica nasce una iniziativa, sempre OMS – UNICEF, chiamata "Ospedale Amico del Bambino" lanciata ad Ankara nel giugno 1991, in occasione di una riunione dell’Associazione Internazionale dei Pediatri, con lo scopo di proteggere, incoraggiare e sostenere su scala mondiale l’allattamento al seno fin dai primissimi giorni di vita in ospedale.
Nell’ultimo decennio, proprio sulla scorta delle ricerche scientifiche e delle dichiarazioni dell’UNICEF, I medici pediatri di tutte le nazioni hanno aumentato la loro opera di educazione e di promozione dell’allattamento al seno, precedentemente delegata alle figure paramediche. Per valutare le percentuali dei bambini allattati al seno in Italia, sono state condotte verso la metà degli anni ’90 alcune importanti ricerche; da queste risulta che circa il 90% delle mamme allattano al seno alla dimissione dall’ospedale di nascita, ma che tale percentuale si riduce al 40% circa verso il terzo mese di vita del bambino ed a meno del 30% al sesto mese.
Lo sforzo dei pediatri è quindi concentrato all’aumento delle percentuali di allattamento materno nei primi mesi di vita consapevoli dell’importanza sanitaria di tale pratica, ma anche, e soprattutto, del grande valore umano per la costruzione di un saldo rapporto affettivo in ambito familiare.
Ultimissimi dati della ricerca medica indicano inoltre un migliore sviluppo neuropsicologico ed un più alto quoziente intellettivo nei bambini allattati dalle loro madri. Per tutti questi motivi la difesa dell’allattamento al seno non potrà che continuare sempre con maggiore vigore anche nel Terzo Millennio.
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