Abito a Bergamo ed ho una bambina di 13 mesi, che ha appena avuto l'otite e la febbre a 39.5°. Ho telefonato alla pediatra e, malgrado l'alta temperatura, mi ha detto di portarle la bambina. A fronte della mia richiesta di intervento a domicilio, ha risposto negativamente.
La domanda è: "Può un pediatra rifiutarsi di venire a visitare una paziente quando questa, proprio per problemi di salute, non può recarsi la lei? E se la bambina avesse avuto qualcosa di più grave di una semplice otite, dove mi posso rivolgere per avere una assistenza a domicilio?"
Le visite domiciliari sono da sempre un problema, che nasce sostanzialmente dal conflitto fra una richiesta della famiglia (che poggia sulle motivazioni del singolo) e la disponibilità del pediatra (che deve vedere il problema da un punto di vista collettivo). Ci spieghiamo meglio, elencando alcuni punti per la riflessione.
Problema dal punto di vista della famiglia:
- il bambino ha la febbre e non posso portarlo fuori;
- il Dott. XY, se pago la visita, viene a vedermelo anche di notte;
- non ho la macchina;
- ... e se vengo in studio e poi mi prende qualche altra malattia dagli altri?
Problema dal punto di vista del pediatra:
- il pediatra di famiglia ha in carico circa 1000 pazienti; se ciascuno di essi mediamente in un anno telefona 10 volte e viene visitato 6 volte (conteggio ottimistico), ogni giorno il pediatra effettua 20 visite e riceve 30 telefonate; se, come evidente, il flusso di lavoro non è uguale in estate e in inverno, probabilmente in molti mesi dell'anno i numeri suddetti vanno raddoppiati. Ciò significa che, in un giorno invernale da 30 visite, visitare in studio ad un ritmo di 4 visite per ora comporta 8 ore di attività (escludendo telefonate, informatori farmaceutici, aggiornamento, contatti con l'ospedale, ecc.). Se lo stesso carico di visite si intende a domicilio, in una città vuol dire non poter fare più di una visita ogni 30 minuti (se vicine e non in ore di punta); quindi, le ore dedicate diventano 16. In altre parole, visitando in studio il pediatra riesce a soddisfare un maggior numero di richieste;
- oltre a questo, nelle ore che trascorre in auto o a casa dei pazienti, il pediatra è praticamente irreperibile dal resto dei suoi assistiti: la segreteria telefonica non sostituisce certo il contatto diretto e a volte può essere causa di irreparabili disguidi; il cellulare non è una soluzione praticabile dovunque e da tutti; e comunque essere trovati al telefono non significa essere subito disponibili ad una visita, mentre se si è in studio un urgenza può essere immediatamente accolta;
- infine, in studio si visita meglio. L'ambiente idoneo, gli strumenti giusti, la luce migliore, lo schedario o il computer con i dati del bambino, i libri da consultare al bisogno (non c'è da vergognarsene: un dubbio deve venire ogni tanto), la possibilità di praticare qualche esame (urine, tamponi, impedenzometria, spirometria) o di fare medicazioni o di somministrare farmaci, tutto migliora la qualità del lavoro. E poi, anche la qualità della comunicazione con la famiglia risente positivamente dell'ambiente;
- non è un caso se in tutti i Paesi del mondo l'attività medica si intende come ambulatoriale: a domicilio va solo l'ambulanza per le urgenze;
- non si può confrontare un servizio pubblico con una attività privata: uno studio legale (privato) sta aperto fino a tardi, mentre il tribunale (pubblico) chiude alle due; è ovvio che il singolo che lavora in proprio è disposto ad attività extra, che non sono regolate da nessun contratto e che determinano entrate proporzionate. Se lo Stato ritiene di dover aumentare i benefici offerti agli assistiti, dovrà attrezzarsi per lo scopo: dare meno bambini in carico a ciascun pediatra e quindi assumere più pediatri e quindi maggiori costi. Attualmente, questa non sembra essere una politica praticabile, per cui il pediatra di famiglia rimane un servizio pubblico che copre una fascia importante dei bisogni di salute del bambino e della collettività, ma non si può pretendere che li copra tutti (meno che mai i bisogni privati);
- la febbre non è una controindicazione: somministrare un antipiretico qualche ora prima del trasporto allevia sicuramente il disagio. Altro discorso è se si presume che il bambino abbia una malattia contagiosa pericolosa per gli altri: in questo caso la visita domiciliare può essere una soluzione migliore.
Cosa si può fare, allora?
Anzitutto, regolare l'attività di studio con appuntamenti; evitare le attese troppo lunghe; evitare le occasioni di contagio; adeguare la durata di apertura dello studio; dare alle famiglie precise istruzioni su come affrontare le più comuni situazioni di malattia; farsi trovare. E poi, quando la situazione lo richiede, la visita domiciliare si fa. Il necessario rapporto di reciproca fiducia e stima deve, alla fine, evitare che la richiesta diventi un conflitto: la famiglia pone un problema (non "chiede una visita") e il pediatra indica le soluzioni (non "concede una visita").
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