Le immunodeficienze primitive (IDP) sono un gruppo eterogeneo di malattie genetiche caratterizzate da alterazioni del sistema immunitario. Di conseguenza, i pazienti affetti presentano una diminuita resistenza alle infezioni e una maggiore incidenza di tumori (specie del gruppo leucemie-linfomi) e di malattie autoimmuni. Non rientrano tra le immunodeficienze primitive le alterazioni del sistema immunitario causate da infezioni (ad esempio dall'AIDS), da grave malnutrizione o da impiego di farmaci. Esistono circa ottanta forme di IDP, molte delle quali ereditarie e manifeste nei primi mesi di vita; altre invece, pur essendo congenite, si rendono clinicamente evidenti solo in età adulta.
La maggior parte viene trasmessa secondo meccanismi ereditari ben noti e quindi in molti casi, per soggetti di famiglie interessate dal problema, è possibile determinare il rischio di avere figli affetti. Per alcune forme è praticabile anche la diagnosi prenatale. Va ribadito inoltre che, trattandosi di malattie genetiche, le IDP non sono contagiose. Non è nota l'esatta incidenza delle immunodeficienze primitive nella popolazione e si pensa che in molti casi esse non vengano diagnosticate. Si tratta generalmente di malattie rare, ad eccezione di una forma, il deficit di IgA, che colpisce un individuo su 600. Le forme più gravi hanno invece un'incidenza variabile tra un caso su 10.000 e uno su 150.000. Tra queste ultime ricordiamo in particolare la SCID (immunodeficienza severa combinata), patologia mortale se non curata, nota anche come malattia del "bambino nella bolla", poiché costringe i bambini affetti a rimanere - in attesa della terapia - in ambienti completamente sterili, oggi sostituibili anche con altre attrezzature sofisticate (letti a flusso laminare), disponibili però solo in pochi centri.
Benché molte forme di IDP siano tuttora gravate da una mortalità significativa e da una modesta qualità della vita, dal 1952 (anno in cui fu diagnosticato il primo caso) ad oggi i progressi terapeutici hanno migliorato le prospettive di sopravvivenza in un numero elevato di queste patologie, purché la diagnosi sia tempestiva, così da permettere un trattamento efficace prima che si siano prodotti danni gravi. La cura delle immunodeficienze primitive è diversa a seconda delle forme. In quelle con mancanza di immunoglobuline (comunemente dette anticorpi), la terapia si basa sull'apporto periodico di esse per via endovenosa, in modo da prevenire gravi infezioni (specie broncopolmonari). L'impiego regolare di immunoglobuline endovena si deve peraltro associare ad un'attenta fisioterapia respiratoria, per evitare l'accumulo di secrezioni che può favorire lo sviluppo di infezioni.
Le forme più severe, come la SCID, richiedono invece una terapia più radicale, che consiste nel trapianto di midollo osseo di un donatore sano che fornisca le "cellule madri" capaci di dare origine nel paziente ricevente a un sistema immunitario completo e funzionante. Se in famiglia vi è un donatore di midollo compatibile, si ha la guarigione definitiva nella maggior parte dei casi. Buoni risultati dà anche il trapianto di midollo compatibile reperito nelle banche dei donatori mentre, in alternativa, è anche possibile utilizzare il midollo di uno dei genitori trattato in laboratorio per evitare reazioni di rigetto e incompatibilità.
È stato poi recentemente dimostrato che il trapianto di midollo osseo è realizzabile già in epoca prenatale, guarendo feti affetti da SCID ancor prima della nascita. Risultati importanti in questo campo sono venuti infine anche dalle sperimentazioni di terapia genica, la quale rappresenta una grande speranza per il futuro.
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- Associazione Immunodeficienze Primitive
- Una associazione nel campo delle immunodeficienze primitive.