Sono il papà di un bimbo dell'età di quattro anni, che ha iniziato a parlare all'età di due anni circa ma che, da quando ha compiuto il 28° mese di vita, ha iniziato a balbettare improvvisamente (eravamo al mare in vacanza). Da allora il bambino ha difficoltà di linguaggio. Circa sei mesi fa l'abbiamo sottoposto ad una valutazione medica con una neuropsichiatra infantile ed una logopedista che, dopo cinque sedute di controllo, non hanno ravvisato nulla di patologico. La cosa aveva tranquillizzato noi genitori, pur tuttavia il bimbo da allora non dà segni di miglioramento, anzi ho quasi la sensazione che invece stia peggiorando, o quanto meno che non migliori affatto. Io e mia moglie ci sforziamo di rendere sereno il bimbo non facendogli notare le sue difficoltà, ma ancora non abbiamo capito se un intervento logopedico si possa iniziare ed, eventualmente, a che età del bambino è opportuno prendere in considerazione questa ipotesi. Sono molto preoccupato e sinceramente non so come affrontare il problema per non aggravarlo ulteriormente.
Gentile signore, in età così precoce, come quella del suo bambino, non si può parlare di balbuzie ma di disfluenza, cioè di una difficoltà linguistica caratterizzata da esitazioni e ripetizioni che risultano essere nella maggioranza dei casi transitori, potremmo anche dire naturali, nell'evoluzione e maturazione della funzione linguistica.
È terapeuticamente importante costituire precocemente delle situazioni di stimolo e di contenimento delle disfluenze (sia da parte dei genitori che da esperti riguardo la relazione e l'approccio al disturbo), affinché il disturbo (nella fase iniziale) non si fissi e cronicizzi nel tempo. Nel linguaggio di molti bambini dai 3 ai 6 - 7 anni, è facile che il linguaggio in fase di rodaggio presenti difficoltà nella produzione di suoni, con il vocabolario quotidiano e con la strutturazione delle prime frasi. Ripetizioni di parole, di sillabe, di frasi intere, esitazioni, prolungamenti, talvolta frequenti riformulazioni della frase, sono fenomeni frequenti nelle prime fasi del linguaggio infantile.
Questi "segni di disturbo" sono da mettere in relazione con il linguaggio globale del bambino e, nel complesso, con quella rete invisibile che è la relazione e la comunicazione familiare, la presenza di un fratellino che inonda emotivamente la scena quotidiana di atti non previsti, un'atmosfera emotivamente carica, un periodo di allontanamento di un genitore.
È importante, soprattutto per voi genitori, considerare evolutivamente la difficoltà presente, sdrammatizzando, accogliendo con tranquillità (possibile) la comunicazione del bambino, per quanto questa sia soggetta a tonicità eclatanti (blocchi e arresti). Una "balbuzie primaria", apparente e transitoria, è tipica dell'età infantile, costituita da fisiologiche e normali disfluenze e da intermittenti esitazioni e ripetizioni sillabiche iniziali.
La sua risoluzione è spontanea in circa il 60% dei casi dei bambini in età prescolare, e con intervento indiretto dà risultati positivi nella maggior parte dei casi. Queste "fatiche verbali" del bambino sono segni discontinui presenti anche in bambini non balbuzienti, tuttavia da tenere sotto stretto controllo ed affrontate in particolare con prudente serenità dai genitori. Tenete presente che la famiglia, voi, siete un'insostituibile risorsa terapeutica. Voi siete la struttura di contenimento terapeuticamente più importante.
Mi scrive "non abbiamo capito se un intervento logopedico si possa iniziare ed, eventualmente, a che età del bambino è opportuno prendere in considerazione questa ipotesi. Sono molto preoccupato e sinceramente non so come affrontare il problema per non aggravarlo ulteriormente"...
L'opportunità di un intervento diretto (piuttosto che indiretto sulla relazione familiare) sul sintomo e sul disturbo dipende da alcune variabili essenziali: l'età del bambino, non prima prudentemente dei 6 - 8 anni; la maturità linguistica e lo sviluppo del linguaggio; la richiesta esplicita del bambino di un intervento sul linguaggio; la disponibilità del bambino; il modello, in ultimo ma non per importanza, di logoterapia individuata.
È necessario, da un punto di vista preventivo, alleggerire l'interesse verso il parlare valorizzando altre forme di comunicazione, più libere ed immediate e, per un genitore, spostare l'attenzione sul "cosa dice" piuttosto che al "come lo pronuncia", rasserenandosi internamente senza inutili e dannosi tentativi di calmare il bambino, invitandolo a respirare o ad esempio ad andare più lentamente. Deve sempre essere rispettato il "tempo" del bambino anche e, sottolineo, soprattutto durante la sua esitazione e la sua difficoltà.
Consideri queste prudenze linguistiche per contenere i blocchi verbali e il vostro sentimento d'impotenza: utilizzare un linguaggio facile, semplice, morbido, rallentato in presenza del bambino, offrendo un "modello" verbale ed articolare chiaro e preciso, in particolare dopo aver ascoltato la difficoltà del bambino, senza scadere nell'artificiosità e "stranezza"; modellare l'eloquio in modo disteso, consigliando la stessa modalità agli altri membri della famiglia; per stimolare il bambino al raggiungimento della fluidità utilizzare un livello di comunicazione meno complesso ed articolato, privilegiando un vocabolario elementare e frasi corte; non interrompere, anticipare le frasi o finire il discorso di un bambino che balbetta.
Nella conversazione rispettare i "turni" d'inserimento verbale e non sovrapporsi mentre si parla; attendere che termini la sua frase e il suo discorso con disponibilità e attenzione; prendere la consuetudine di commentare singole situazioni o momenti del fare (discorso parallelo), piuttosto che porre frequenti domande che affaticano il bambino.
Durante i momenti o le giornate di maggiore difficoltà verbale offrire al bambino le più ampie occasioni di linguaggio e la possibilità di parlare liberamente, stimolato da percorsi ludici a lui particolarmente interessanti e gradevoli; organizzare percorsi e momenti di attività non-verbali, di costruzione ecc., che possano "scaricare" ed alleggerire la tensione verbale, valorizzando forme comunicative alternative.
Evitare "competizioni verbali" quali ad esempio obbligare a raccontare eventi ad amici o parenti, al fine di limitare e contenere la "pressione" del livello di costruzione verbale del bambino; non evidenziare al bambino le sue difficoltà verbali. Invitandolo alla " calma ", a " prendere il fiato ", " a parlare lentamente ", ad " aprire di più la bocca", a " rallentare ", a " pensare a quello che deve dire " si comunica la sua "diversità", si comunicano forti livelli d'ansia che appartengono all'adulto ma non al bambino che "vive la difficoltà" ma non la "prova" ancora.
Il bambino potrebbe equivocare la natura dello stimolo interpretandolo come un rimprovero riguardo la sua incapacità a parlare come gli altri; se il bambino vi sottolinea la sua difficoltà verbale, presentategli il fatto che tutte le persone hanno difficoltà ed esitazioni verbali quando sono stanchi e particolarmente agitati.
Vi auguro tutta la serenità possibile in questo "cammino delle parole".
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