Il bambino di Giulia era rotondo, grassoccio, di temperamento dolce e bonaccione: parlava ancora poco, e io capivo pochissimo quello che diceva, quando trotterellava per le mie stanze inseguendo Barone. Con Barone spartiva i fichi secchi, le fette di pane e i dolci che gli regalavo: Nino si rizzava in punta di piedi e alzava la mano il più in alto possibile, serrando fra le dita il suo bene, perché il cane non ci arrivasse: ma quello era più grande di lui, e giocando e saltando allegro, e attento a non fargli male, gli rubava i fichi di mano. Quando Barone si sdraiava in terra, il Nino gli si coricava addosso, e giocavano assieme: poi il bambino si addormentava, stanco di giochi, e il cane restava immobile sotto di lui, come un cuscino, e non osava neppure tirare il fiato per non svegliarlo. Così rimanevano per delle ore sul pavimento della cucina.
(da "Cristo si è fermato a Eboli")
Nato a Torino nel 1902, CARLO LEVI conseguì la laurea in medicina, ma i suoi interessi furono sempre la letteratura e la pittura. Condannato per antifascismo, fu al confino in Lucania. Partecipò in seguito alla Resistenza e dopo la guerra si stabilì a Roma, dove fu eletto senatore e dove continuò a svolgere un'intensa attività di pittore, giornalista e saggista fino alla sua morte, avvenuta nel 1975.
Il brano rappresenta un momento di un mondo isolato dalla vita civile, arretrato e arcaico, ma dove non mancano i valori e i sentimenti profondi, come il reciproco affetto e l'amicizia che legano un bambino e un cane.