1° domanda: quali possono essere i rischi di un'infezione da Citomegalovirus durante la gravidanza (malformazioni, aborti, ecc.) anche in relazione allo stadio della gravidanza stessa?

2° domanda: tra il primo ed il terzo mese di gravidanza, è stata contratta infezione da Citomegalovirus. L'indagine condotta attraverso l'esame del complesso Torch, ha evidenziato la presenza di valori alti delle IgM ed un titolo pari a "9" delle IgG. A quali rischi ed in che percentuale si andrebbe incontro nel caso l'infezione sia stata trasmessa al feto? Che rimedi esistono attualmente per avere la certezza che il feto non sia stato infettato?

3° domanda: mia moglie è incinta di cinque mesi e, qualche giorno fa, nostro nipote di 11 mesi è stato ricoverato con febbre alta (39/40°) e gli è stata diagnosticata un'infezione da Citomegalovirus (in attesa degli esiti delle analisi su mononucleosi). In seguito mia moglie si è sottoposta ad analisi per verificare se aveva contratto il Citomegalovirus e fortunatamente è emerso che risulta immune. Il nostro ginecologo le ha comunque consigliato di non avere contatti con il nipotino. Vorrei sapere se condividete tale scelta, quali potrebbero essere gli effetti di un'eventuale infezione sul feto, se i rischi per il feto variano in relazione al periodo di gestazione, se il contatto con il nipote, che ci è stato indicato come portatore sano, costituirà un rischio per future gravidanze o quando egli verrà in contatto con la nostra futura figlia, se ci sono cure o vaccini per impedire che le donne in gravidanza siano contagiate, come mai non è stato prescritto il test sul Cytomegalovirus all'inizio della gravidanza di mia moglie?

Il Citomegalovirus è un virus appartenente alla famiglia degli Herpesvirus, responsabile di un’infezione molto comune (tanto che la maggior parte degli adulti l’ha contratta nel corso della vita), asintomatica nella maggior parte dei pazienti, e che in alcuni casi si esprime come una forma simil-influenzale. Una volta che un individuo ha contratto la malattia, il virus rimane latente per il resto della vita e può in alcune occasioni riattivarsi (ad esempio durante la gravidanza), solitamente senza dare alcun sintomo.

La forma congenita (dovuta, in altre parole, al passaggio del virus da una madre infetta al feto) dell’infezione da Citomegalovirus è, nella maggior parte dei casi, asintomatica. L’epoca gestazionale non influenza il rischio di trasmissione del virus in utero, ma se l’infezione è acquisita dalla mamma precocemente (prima della 27° settimana), essa si accompagna nel feto ad un decorso peggiore.

L’infezione congenita, successiva ad una infezione primaria della madre, è molto più pericolosa di quelle forme congenite che sono invece dovute ad una riattivazione del virus e che, come abbiamo detto, raramente danno manifestazioni cliniche alla nascita. È stato calcolato che circa l’1% di tutti i nati presenta un’infezione congenita da Citomegalovirus, ma di questi solo una minima parte (il 10%) è sintomatica e solo il 5%, corrispondente a un caso su 2.000 nati, ha una forma generalizzata.

I segni più frequenti sono la prematurità, un basso peso alla nascita, l’ittero, un ingrossamento del fegato e della milza, la comparsa di petecchie (piccolissime emorragie puntiformi della cute o delle mucose), un interessamento oculare (corioretinite) e il riscontro di un cranio piccolo. Fra questi neonati la mortalità è elevata e precoce, arrivando fino al 30%.

Gli esiti a distanza di un’infezione congenita da Cytomegalovirus non sono solo appannaggio delle forme sintomatiche e comprendono una sordità neurosensoriale (la conseguenza più frequente), una colorazione gialla dei denti con fragilità ed opacità dello smalto, un deficit mentale.

Anche in quel 90% dei neonati che non ha manifestazioni cliniche evidenti le conseguenze a distanza possono essere ugualmente presenti (ed in tal caso sono uguali a quelle già viste), anche se con una minor frequenza (5-10%), e compaiono tutte nei primi due anni di vita. Al momento attuale le possibilità di diagnosi prenatale si basano sulla identificazione del virus attraverso la coltura di liquido amniotico (ottenuto con un’amniocentesi) o di sangue fetale.

Poiché una volta contratta l’infezione, il paziente continua per lungo tempo (anche per molti mesi) ad eliminare il virus attraverso l’urina e la saliva, il miglior modo, per una donna incinta, di evitare il contagio è lavarsi accuratamente le mani ed evitare contatti con le secrezioni dei bambini.

Non esiste alcun vaccino e non è possibile alcun intervento terapeutico durante la gravidanza poiché i farmaci antivirali, che attualmente possediamo, hanno un’alta frequenza di effetti collaterali e vengono usati più che altro nei neonati infettati.

In mancanza di un efficace trattamento farmacologico e per il basso rischio di infezione congenita sintomatica, la determinazione degli anticorpi anti-Citomegalovirus eseguita di routine, prima e dopo la gravidanza, è di limitato valore nella pratica anche perché la dimostrazione di una pregressa infezione nella gestante non esclude una riattivazione dell’infezione in gravidanza.

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