Il sonno è una fase importante e delicata della vita di tutti noi, nella quale si chiudono e risolvono gli stress fisici ed emotivi della giornata e si prepara l’organismo a rispondere efficacemente alle esigenze della crescita e della vita attiva. Quando, per svariate ragioni, un bambino non ha un sonno regolare o, peggio, presenta disturbi dal punto di vista clinico, la cosa ha impatto notevolissimo sulla qualità della sua vita e della famiglia intera. Per questo, i problemi legati al sonno nel bambino, in tutte le fasce d’età, costituiscono una comunissima causa di ricorso all’intervento del pediatra.
Soltanto in una piccola percentuale di casi si tratta di disturbi gravi che sottendono patologie di una certa rilevanza: per la maggior parte, invece, si è di fronte a disturbi lievi e transitori che tendono a diminuire gradualmente con il passare del tempo. Il bambino piccolo Il sonno, per quanto evento del tutto naturale, richiede di essere “imparato”; in altre parole, nei primi mesi di vita il lattante (bambino sotto l’anno di età) passa da un ritmo di riposo “polifasico” (cioè dorme a spezzoni, come i gatti) ad un regolare ritmo giorno-notte. Questo progresso, come sempre, non è mai lineare e pacifico, ma spesso pone il bambino e la famiglia di fronte a cambiamenti bruschi, con alti e bassi, successi e insuccessi, avanzamenti e bruschi ritorni al passato. Soprattutto nel primo anno di vita i più frequenti disturbi del sonno sono quelli legati alla difficoltà di addormentamento e ai numerosi risvegli che spesso costellano il riposo di un lattante. Il momento dell’addormentamento rappresenta per il bambino piccolo un momento di distacco dai genitori e dalle piacevoli attività del giorno, perciò è normale che il bimbo lo viva come un momento un po’ “ansiogeno”.
Il passaggio tra la veglia e il sonno comporta per il bambino la necessità di lasciarsi andare e di rimanere da solo nel proprio lettino, condizioni queste che fanno emergere ansie e paure; ed è per questo che spesso i bambini piangono quando arriva l’ora di andare a dormire. E’ compito dei genitori (ovviamente, soprattutto della mamma) rendere più sopportabile la transizione dalla veglia al sonno utilizzando il conforto e la rassicurazione e favorendo alcuni “rituali di addormentamento”: raccontare una favola, offrire al piccolo dell’acqua da bere, accendere una piccola lampada nella cameretta, fare un bagnetto rappresentano utili strategie per rendere più facile il riposo del bambino. Il bambino più grandetto Finalmente la domenica si dorme! Con la crescita, il sonno del bambino si regolarizza per orari e durata e le ore passate a cercare di farlo dormire sembrano un lontano ricordo. Tranne… le eccezioni! In questa fase, i disturbi del sonno si possono dividere in due gruppi: quelli generici di bambini che “fanno i piccoli” e utilizzano il sonno come arma negoziale verso la famiglia e quelli “da grandi”, che diventano più specifici e assumono delle connotazioni cliniche ben precise. Questi ultimi sono definiti, in termine medico, “parasonnie” (incubi, terrori notturni, sonnambulismo ed altri ancora).
La notte fa paura
Il “pavor nocturnus” (lo spavento notturno) è un disturbo del sonno che insorge in genere dopo i tre anni di vita. Improvvisamente, durante la prima metà della notte, nel bel mezzo del sonno profondo, il bambino si siede di colpo sul letto, grida, piange, spesso urla e singhiozza. Il piccolo non risponde ai richiami dei genitori, sembra non vederli né riconoscerli anche se ha gli occhi aperti e sbarrati, non reagisce ad alcuna sollecitazione; spesso compie movimenti violenti con le mani, come per aggredire o per difendersi. Il corpo è madido di sudore, la frequenza cardiaca è rapidissima, il respiro è affannoso, il volto appare pallido e congesto. Dopo parecchi minuti (anche 15) il bambino si rilassa, riacquista la normale posizione sotto le lenzuola e riprende tranquillamente a dormire ed in genere al mattino successivo non ricorda nulla. Di che cosa si tratta? Di nulla! Le nonne dicono che “ha fatto un brutto sogno” e probabilmente hanno ragione da vendere, se non altro sul piano dell’approccio: rassicurare e coccolare, senza altre paure.
Il bambino sonnambulo
Il sonnambulismo è uno stato particolare di automatismo del movimento che si verifica durante il sonno naturale (quasi sempre nelle prime due ore di sonno). Il bambino sonnambulo si alza dal letto, cammina nel sonno, ha gli occhi aperti, ma lo sguardo risulta assente, nel vuoto; non è attento a quello che succede attorno a lui; può compiere azioni anche complesse e coordinate, senza peraltro ricordare nulla al risveglio; può vestirsi e svestirsi, aprire e chiudere porte, accendere e spegnere la luce.
L'episodio dura in genere da 5 a 20 minuti. Molto spesso, dopo la crisi di sonnambulismo, che può ripetersi anche tutte le notti in certi periodi, il bambino torna a letto e dorme normalmente fino al risveglio, che avviene in modo del tutto naturale. Al mattino non c'è ricordo di quello che è successo durante la notte. Il sonnambulismo si presenta di solito nell'età compresa dai 4 ai 15 anni; ha carattere ereditario ed ha una frequenza che può raggiungere il 15% dei bambini. Questo fenomeno sparisce durante o dopo l'adolescenza, senza conseguenze.
Gli incubi notturni
Gli incubi sono sogni a contenuto terrificante, da cui il bambino si risveglia in preda al panico. Il bambino, che non aveva mai sognato prima (e dunque non conosce la differenza fra sogno e reale), crede di avere vissuto una esperienza vera, ricca di sensazioni concrete. In genere il piccolo ricorda abbastanza bene il contenuto dell’esperienza paurosa ed è in grado di raccontarla ai genitori: quando viene tranquillizzato il piccolo di solito torna a dormire senza difficoltà. Gli incubi in genere si presentano nelle ultime ore della notte e, se si verificano frequentemente, fanno sì che il bambino possa manifestare un vero e proprio timore nel momento di andare a dormire. Qualche rimedio I disturbi del sonno sono così frequenti e differenti, in termini di presentazione e gravità, che non è possibile proporre rimedi generali e universali.
In alcune situazioni l’approccio può essere di semplice rassicurazione, magari accompagnata dall’insegnamento di buone regole di comportamento (orari regolari e ambiente abituale; alimentazione semplice e di facile digestione; attività serale contenuta, senza giochi eccitanti) e da qualche utile rituale (la fiaba, il bagnetto, la luce soffusa); in altre, può rendersi necessario un intervento psico-pedagogico, sempre da affidare ad esperti di psicologia infantile (utile nelle situazioni di “disagio latente”, in cui qualche suggerimento ben mirato alla famiglia può disarmare il bambino); soltanto nei casi in cui il disturbo è ripetitivo, intenso e resistente alle pratiche più comuni, può essere preso in considerazione il trattamento farmacologico.